venerdì 15 dicembre 2017

Come (non) sono diventata un ingegnere

Difficilmente parlo di me, di fatti personali o di avventure fantastiche che risalgono alla mia vita precedente Roma. Ma ieri sera - davanti a due kg di sashimi - ho fatto una promessa ad una mia amica. Io avrei scritto questo post e lei ne avrebbe scritto uno su una sua fantastica - e assurda - avventura. Quindi mentre aspetto di leggere il suo, mi accingo a mantenere la mia parte di promessa. 

Come qualcuno di voi saprà, io stendo sempre un velo pietoso sulla mia carriera universitaria, sia perchè ci ho messo una vita, sia perchè ci ho rimesso la salute. Non tornerei a studiare neanche se per farlo mi pagassero e - davvero - ho una stima profonda di coloro che riescono a studiare e a cui piace farlo. Io non sono così, ho sempre vissuto la scuola come una tortura. Vi direte che ero sicuramente una di quelle scarse che venivano bocciate, invece non lo ero affatto, ma se essere un po' intelligenti basta alle elementari, alle medie, e perfino al liceo classico, all'università questo non basta. Specialmente in una facoltà come ingegneria. Ci vuole spirito, forza d'animo, impegno e costanza. Tutte cose che io, lagnusa (per capire cosa significa leggere qui...) come sono, tendenzialmente non ho mai avuto. Almeno per lo studio. Al contrario, quando mi mettevo a fare qualcosa di pratico o lavorativo (venendo pagata, per quanto poco) davo il massimo di me. E' per questo che dopo 8 anni (si, avete letto bene) di vita sprecati a fare la triennale di ingegneria, quando mi è stato chiesto "ma fai la specialistica?" mi sono fatta una sana e grassa risata. E dopo un anno di lavoro e un gruzzoletto, ho fatto armi e bagagli e ho lasciato la mia città per Roma. 

Ad ogni modo, ripensando a questa carriera, ieri, mentre parlavo con la mia amica, ho dato le tre motivazioni per cui non sono riuscita a laurearmi in tempo. La prima, come detto su, è che ero fondamentalmente lagnusa. Il primo anno ho dato solo una materia e consideravo che bastasse leggere una pagina di un libro ogni tanto per prepararmi per gli altri esami: in pratica, ho preso un anno sabbatico, ma considerando che avevo fatto la primina, e quindi ero uscita dal classico con 18 anni freschissimi, mi sono detta che non era nulla di grave. La seconda è che avevo accanto una persona che anzichè invogliarmi e dirmi che ce la potevo fare, mi buttava giù. Essendo lui un fallito, non mi stupisce la cosa, adesso. Ma allora ero piccola, stupida, e pensavo che gli altri fossero tutti migliori di me. La terza, e soprattutto è stata la terza, ho beccato lo scoglio, e non sono riuscita a superarlo (per un sacco di tempo). Ed è questo scoglio l'argomento del post: il mio esame di matematica 1. Nelle altre facoltà conosciuta e nota come "analisi matematica 1". 



Mi ero incaponita a non voler andare dalla professa a ricevimento, perchè ero convinta che lei non mi facesse passare l'esame perchè a sua volta si era incaponita verso di me (ed un po' era vero). Ho dato l'esame così tante volte che ho perso il conto, disperatamente mi presentavo ad ogni appello finchè - avendo dato tutte le altre materie per cui questa non era propedeutica - ho pensato che non avrei più potuto continuare. Ho pensato di mandare tutto a fanculo, di buttare alle ortiche anni di fatica... e beh, ho pensato di fare qualsiasi cosa, piuttosto che continuare a provare a superare una cosa che non avrei mai potuto superare. Non mi importavano le suppliche di mia madre di tornare sui miei passi. Io, quando mi ci metto, sono più testarda di un mulo, motivo per cui quest'occasione fu una delle poche, forse l'unica occasione, in cui mia madre e mio padre si allearono alle mie spalle.

Mia madre convinse mio padre ad andare a parlare con la professoressa per capire quale fosse il problema, e, come quasi sempre accade, la professoressa cadde preda del fascino di mio padre, tant'è che non fu necessario usare - come preventivato nel caso in cui la mano buona di mio padre non avesse funzionato - quella cattiva (e non vi dico quanto cattiva) di mia madre. 

Così, presa alla sprovvista da mio padre che mi supplicò di non fargli fare una figura di merda con la professoressa, andai a ricevimento, ma non un paio di volte. Se dovevo fare una cosa di cui non avevo la minima voglia, la dovevo fare a modo mio e scassando i cabbasisi alla prof. il più possibile. Così mi presentai ogni giorno alle 9,00 nel suo studio per un mese di fila fino all'esame. Il giorno dell'esame il mio nome inizialmente non fu annoverato tra quelli che passarono. Dopo una pausa di circa un minuto, in cui io ero già morta, seppellita, col funerale fatto e l'epitaffio scritto sulla lastra di marmo, disse che ero passata anche io con QUASI SUFFICIENTE. Non potrò scordare mai la faccia che fece dicendo il mio nome in ritardo (e ve la lascio immaginare) 

Venne il giorno dell'orale, a Palermo soffiava il Phon. Il vento caldo e sabbioso del deserto. Di solito con 45 °C e il cielo giallo denso di sabbia, non si esce di casa. Io invece ero a sciogliermi e tremare al tempo stesso per fare il mio beneamato esame orale di matematica. Non ero mai arrivata a quel punto.

La professoressa mi chiese delle cose che era certa che io sapessi e poi guardò il mio libretto. Nel vedere il 30 in fisica 1, mi chiese se per caso ce l'avessi con lei per qualche motivo. La guardai con tanta voglia di ucciderla, ma dissi un diplomatico "ma no professoressa, affatto" e mi diede 24. Nel frattempo, a casa, mia madre aveva finito circa tre kg di ciliegie, facendosi venire un cagotto potente e trattenendo a stento l'infarto.

L'incubo era finito. Dopo quell'esame mi laureai, tesi compresa, in un anno e mezzo. Dando circa 10 materie nel tempo in cui non ne erano previste più di 7.

Ed ora faccio la segretaria, bella svolta, eh?

3 commenti:

  1. Io mi dico sempre una cosa che appartiene ad una canzone dei Led Zeppelin "there's still time to change the road you're on"

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  2. Ahahahaha io ti adoro, stasera prometto di scrivere il mio 😁😁😁😁

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